Manila
Arrivo a Manila dopo un volo di un paio d'ore da Hong Kong. Siccome
ho parecchia stanchezza sulle spalle, decido di pernottare in città, per
poi buttarmi l'indomani alla scoperta delle isole. Fra i diversi
ostelli, scelgo il Red Carabao (2819 Felix Huertas street, traversa di
Aurora Boulevard, quartiere Santa Cruz, fermata metro Abad Santos). E'
un palazzetto bianco, di cui l'ostello occupa la reception ed un paio di
piani. E' molto curato ed inserito in un contesto popolare, lontano
dalla asettiche Makati o Malate. In strada, galli da combattimento
legati ai pali, bambini lavati sul marciapiede con dei cannelli,
lamiere, jeepneys e tricicli a gogo, curiosità nei miei confronti; non
devono vedere molti backpackers da queste parti. Essendo luglio, qui è
bassa stagione, e l'ostello è praticamente vuoto, a parte me e tre
ragazzi spagnoli; motivo per cui mi viene data un'intera camerata con
quattro letti al prezzo di una branda (270 pp = 4,80 €). L'accoglienza è
benevola, il ragazzo parla bene inglese. Dopo una sacrosanta doccia,
mentre ancora vago con l'asciugamano, vengo invitato dai tre spagnoli
(Jorge, Jesus e Paul) ad uscire a cena con loro. In effetti l'idea di
girare da solo nella notte di Manila non è molto allettante, per cui
decido di buon grado di unirmi a loro. Chiediamo qualche dritta al
ragazzo dell'ostello, sembra sufficientemente sveglio per capire che con
nightlife non intendiamo un bowling; ci indirizza verso una zona di
locali (Timog Avenue), fra cui c'è il Barrakz. Arriviamo sul presto, i
locali sono ancora vuoti e decidiamo di mangiare qualcosa;
fortunatamente gli spagnoli hanno un budget limitato come me, per cui
dopo aver dato un'occhiata a diversi menù esposti fuori dai ristoranti,
ci fermiamo in una ludreria che griglia carne sul marciapiede, e ci
abboffiamo di pollo, maiale e San Miguel (che diventerà una fedele
compagna per tutta la vacanza). Mentre mangiamo troviamo il tempo di
scambiare due chiacchiere con Kim e Marisa, e il conto è onesto (500 pp a
testa = 8,80 €). Sul marciapiede iniziano a sciamare gruppi di giovani,
la vita notturna si va animando, per cui con un rutto ci alziamo da
tavola e ci dirigiamo verso il Barrakz che ora è pieno. Musica dal vivo,
gente che balla, riescono anche a farmi un Cuba Libre degno di questo
nome. Visitiamo anche qualche altro locale, e con l'intento di non fare
troppo tardi ci troviamo alle 4:30 di mattina, alticci, a mangiare una
pizza lì vicino per poi farci portare in ostello da un taxi. Prima del
meritato sonno li saluto, loro in mattinata vanno a recuperare un amico
in aeroporto e poi si avvieranno verso sud per andare a fare surf da
qualche parte rinomata fra i patiti della tavola.
Verso Sabang
Mi sveglio con una sguarella da sbornia tropicale. Sgrammo un po' di
orange juice dal frigo comune, una doccia e poi preparo lo zaino, la
voglia di arrivare al mare si è fatta imponente e non voglio perdere
tempo. Prendo la metro, all'ingresso di ogni fermata i poliziotti fanno
una superficiale controllo, vorrebbero che aprissi lo zaino, in italiano
gli dico "ascolta, ma ti pare che mò tiro fuori venti chili di roba,
dai mettiti a posto"; capiscono il senso, mi sorridono e mi dicono di
passare pure. I vagoni sono gremiti oltre il credibile, mi infilo non so
come in un pertugio trovando spazio anche per lo zaino; dopo qualche
fermata mi accorgo di aver lasciato le scarpe in ostello (bisogna
toglierle all'ingresso dei piani) per cui bestemmiando fra i denti torno
indietro a recuperarle. Triciclo fino all'ostello dalla stazione della
metro e ritorno 40pp. Riprendo quindi la metropolitana, che corre
soprelevata per tutta la città, la guardo dai finestrini, baracche
fetide e grattacieli moderni, palazzoni fatiscenti e case coloniali
stupende. Non sembra una metropoli asiatica; le croci sulle chiese, il
nostro alfabeto e le stesse facce della gente la rendono più simile ad
una città sudamericana. Sulla metro sono l'unico occidentale in un mare
di filippini, e continua a salire gente, tanto che ad alcune fermate,
trovandomi vicino alla porta, protesto tentando di impedire che salga
altra gente, visto che più di così non è umanamente possibile
comprimersi. Loro mi guardano come un folle, sorridono e si accalcano
senza problemi; essendo alto una spanna più della media vedo centinaia
di occhi rivolti verso di me, ormai mi sono arreso a questo pogo senza
musica. Dopo un po' arrivo alla fermata di Gil Puyol, dove c'è la
stazione dei pulmann, prendo un biglietto per Batangas, la città sulla
costa da cui partono i traghetti. Il bus mi costa 177 pp. Il cielo ora è
coperto, inizia a piovigginare, qui è la stagione delle piogge e temo
di vedere poco sole in questa vacanza (impressione che però sarà
fortunatamente smentita, visto che pioverà tutti i giorni ma solo dalle
cinque del pomeriggio in poi). Dal fondo del pullman arriva il
chicchirichì di un gallo, deve essere chiuso in qualche scatola, i
filippini hanno una passione smodata per i combattimenti fra questi
animali e se ne trovano ovunque. Ad ogni fermata salgono venditori vari,
che rimbalzo tutti gentilmente visto che ho già provviste per il
viaggio, che dura circa un'oretta. Vendono noccioline, ciciarones (pelle
di porco fritta), uova di qualglia, bevande. Dopo qualche minuto di
pioggia a dirotto, torna il sereno, e arriviamo finalmente al porto di
Batangas. Tento di prelevare ma il bancomat non funziona, per cui sono
costretto a tornare in città con un triciclo per recuperare dei
contanti. Di nuovo al porto, vengo preso di mira dai vari procacciatori
che snocciolano destinazioni tutte a me ignote; Puerto Galera, Sabang, e
chi le conosce? Sono giunto nelle Filippine totalmente impreparato, con
solo una mappa del Paese staccata dal giornale di bordo delle
Philippines Airlines (tra l'altro, a tutte le aviolinee filippine sono
stati interdetti gli scali europei perchè non garantiscono gli standard
di sicurezza, per cui si può immaginare con quanto ottimismo uno ci
salga sopra; in realtà poi il volo mi è sembrato normalissimo). Insomma,
sono lì spaesato non sapendo dove andare, infine scelgo a caso: Sabang.
Il biglietto, tra permessi e supercazzole varie, mi costa 300 pp. Sul
traghetto c'è poca gente, qualche filippino e un ragazzo occidentale con
un'ingombrante attrezzatura da sub. Mi stendo comodamente a poppa su
una panca, usando il mio tappeto turco come stuoia ed un giubbotto
salvagente come cuscino; il sole splende, il mare è pulito e mi sento
alla grande. L'occidentale dà segni di soffrire il mare, e siccome sta a
prua gli consiglio di venire indietro, per evitare di saltare come un
cowboy al rodeo. Lui mi dice che va bene lì, che il suo antiemetico è la
San Miguel ed infatti dopo un po' sta meglio. Ne approfitto per fare
due chiacchiere; lui si chiama Philip, è polacco e si è trasferito a
vivere lì per fare l'istruttore di sub. Fra le altre cose, gli chiedo se
conosce un buon posto per alloggiare, e lui mi consiglia il Sha-Che
Inn, proprio sopra al suo negozio di sub, il Sea Rider. Arrivati al
porto ci salutiamo, lui abita da un'altra parte, con l'intenzione di
rivederci. Il Sha-Che Inn si trova a circa dieci minuti a piedi dal
porto, direzione Big Laguna, ed è in posizione un po' defilata rispetto
al centro del paese, che di sera si anima (così dice Phil) ed è
difficile dormire. Infatti, sulla strada che mi porta all'alloggio che
mi ha consigliato ci sono diversi locali, credevo di dover passare le
serate a contare i granelli di sabbia. Il Sha-Che Inn (grazie ancora
amico polacco) si rivela perfetto: è un complesso di casette proprio di
fronte al mare, ho a disposizione una casetta con bagno e cucina
privati, il tutto pulito come solo una donna filippina sa fare. C'è
anche l'aria condizionata, ma io la detesto, per fortuna c'è anche un
bel ventilatore a muro che subito accendo, anche se la temperatura già
non è male. Il prezzo è ridicolo, 800 pp (14 euro) al giorno, più sconto
alla fine se mi fermo un po'. I gestori sono una famiglia filippina
molto cordiale, mi sento subito a mio agio. Dopo una doccia, faccio un
giretto per il paese visto che per fare il bagno è tardi; molti bar con
biliardo (che adoro), resort, negozietti, qualche discoteca. Non male,
mi aspettavo una cittadina fantasma; cena a "La Dusserdorf", una
pizzeria tedesca alle Filippine è un'esperienza da provare. Mangio una
pizza sopra le aspettative (il mio stomaco era stanco di filippinate).
Passo la cena ad osservare i gechi sulle pareti che si abboffano di
stupide farfalline, che gli si appoggiano direttamente in bocca. Mi ero
dato appuntamento con Philip al Broadway, ma vado direttamente a letto
anche se sono le nove.
Mi sono svegliato che non era neanche l'alba, finalmente riposato e
pieno di energie; l'aria era fresca, il cielo sereno, solo qualche
nuvola paffutella all'orizzonte. Sono andato a fare colazione in paese,
ci hanno messo mezz'ora per farmi due fette di pane tostato e due uova
al cereghino. Piano piano, qui i ritmi sono ben lontani dagli standard
occidentali; anche se mi riesce difficile capire, visto che ero l'unico
cliente, come sia possibile metterci mezz'ora per friggere due uova.
Poi, sulla spiaggia, sono stato avvicinato da un barcaiolo, Roy, per
andare a vedere le isole vicino. Non parlando lui inglese, mi ha
mostrato un cartello con le destinazioni; in italiano gli ho detto
"portami su una spiaggia dove non mi rompe le palle nessuno". Non
capiva, gli ho detto let's go, dopo dieci minuti di barca oltre Coco
Beach, ho visto il posto che faceva per me: una spiaggia bianca di circa
300 metri, desolata, senza nessuno, con un gruppo di palme che creavano
una zona d'ombra che mi chiamava; gli ho detto di fermarsi lì. Mi ha
fatto capire che lì non c'era niente: appunto! Dopo un paio d'ore a
leggere, fare bagnetti e prendere il sole, però, mi stavo un po'
annoiando, e nonostante la mia posizione seminascosta è sopraggiunto un
altro barcaiolo a recuperarmi, Poldo, che diventerà il mio barcaiolo di
fiducia perchè è simpatico, non mi stressa i maroni e parla bene
inglese. Per 500 pp mi ha proposto Coral Garden e ritorno. Ci ho pensato
un po' ed ho accettato. Per fortuna ho portato la maschera dall'Italia,
anche se non è difficile nè costoso noleggiarne una in paese. Arriviamo
e non resto deluso: è una parte della Big Laguna piena di coralli di
tutti i colori, rosa, lilla, azzurri, alcuni giallo fosforescente. Poi
svariate specie di pesci diversi, pesci ago, pesci pappagallo, pesci
alti e pesci piatti (non ne conosco purtroppo il nome). E poi decine di
stelle marine blu, e ancora le giant clams, delle specie di ostriche
grosse come bidoni, tanto che ora che ci penso ne ho viste alcune in
paese usate come lavandini. Poldo dice di non toccarle, sono pericolose
perchè se ci infili la mano si chiudono di scatto, e rimani lì ad
affogare come un fesso senza che neanche il Signore ti possa salvare da
quella stretta mortale. Mentre vago meravigliato con la maschera, Poldo
ha buttato l'ancora poco distante e mi aspetta pazientemente, anzi
quando sono stanco mi dice di attaccarmi alle barre laterali della barca
per portarmi in qualche altra zona della laguna. Quando sono in
overdose di bellezze sottomarine, salgo in barca e ci dedichiamo un po'
alla pesca, e recuperiamo qualche pescetto da zuppa. A ora di pranzo, mi
ha invitato a casa sua per conoscere la sua famiglia, invito che ho
accettato volentieri. Abita in un'isoletta lì vicino, in una casa di
bambù in prossimità della foresta, con la sua giovane moglie (lui ha la
mia età, 32 anni, e la moglie una ventina) e i suoi quattro figli, due
dei quali avuti dalla moglie precedente (morta di epilessia, mi dice).
La casa è veramente rustica ma pulita e ordinata, contornata da
bouganville e convolvoli viola che crescono spontanei. Gli chiedo quanto
costa costruire una casa così, e lui mi risponde abbastanza, 50.000 pp
(circa 900 euro) escluso il terreno. Mangiamo riso ed il pesce che
abbiamo pescato. Nel tardo pomeriggio, appena arrivato alla mia casetta,
inizia a piovere a dirotto. Mi guardo allo specchio, nonostante il
solare 30 sono rosso a chiazze per il sole preso, per cui mi cospargo di
doposole e mi faccio un bel pisolino.
Decido di noleggiare una moto per girare un po' i dintorni; mi danno
una motocross Honda con la solita cilindrata assurda, in questo caso
200. Rispetto alla mia sembra un giocattolo della Peg Perego, fatico un
po'ad abituarmi alle sospensioni alte e al peso ridotto, ma poi mi
diverto un sacco a guidarla, è un trattorino che si arrampica
dappertutto. Il prezzo normale sarebbe 800 pp al giorno, ma grazie
all'intercessione di Philip (il noleggiatore è suo amico) ne pago solo
300. Il casco è il solito cappello di polistirolo, e credo di essere
l'unico dell'isola ad averlo. La strada verso Puerto Galera si snoda
all'interno con scorci sul mare e, a parte qualche breve pezzo, è in
buone condizioni. Passa attraverso boschi, piccoli paesini, capre e
bambini in quantità, alcuni tratti sono molto pittoreschi e l'aria
profuma di fiori. Sul tragitto, mi fermo a guardare un'alta cascata che
sembra essere una delle attrazioni locali, in realtà non mi colpisce
particolarmente, forse perchè ho avuto la fortuna di vederne di ben più
imponenti. Arrivo a Puerto Galera, che risulta essere una cittadella un
po' più grande di Sabang. Ne approfitto per mungere l'unico bancomat nel
raggio di decine di chilometri. La vietta dei negozi offre poco di
interessante, a parte qualche oggettino di legno e dei curiosi
portamonete fatti con dei rospi imbalsamati; sono oggetti che producono
le popolazioni dell'interno e che scambiano con beni che a loro mancano,
come benzina e altro. Proseguo sulla strada fino a quando incontro lo
svincolo che conduce al Ponderosa Golf Club, lo sterrato con cui ci si
arriva è divertente da fare in motocross, sgaso come un cretino facendo
le curve in derapata, qualche abitante delle rare case mi guarda
incuriosito, saluto con un cenno della mano. Dal club si gode un
panorama eccezionale di questa parte dell'arcipelago, in totale
solitudine; infatti il guardiano, appreso che non era mia intenzione
cimentarmi sul green, torna alle sue pigre occupazioni lasciandomi solo.
Mi godo una sigaretta cercando di distinguere le varie isole, la
visibilità è ottima e si può chiaramente distinguere Batangas
all'orizzonte, con le nuvole che perennemente vi stazionano sopra. Mi
rimetto in sella ed in breve arrivo a White Beach che, pur essendo
bella, non sembra niente di particolare, anche perchè le nuvole che
erano all'orizzonte mi hanno raggiunto e dopo poco inizia a piovere a
dirotto; al bar sono, fra i pochi presenti, l'unico occidentale, e
puntuali come le bollette arrivano vari venditori a propormi le loro
inutili mercanzie: bracciali, collane di perle, cerbottane. Declino
gentilmente le loro offerte, loro insistono un po' ma senza speranza,
hanno capito che non mi venderanno niente ma tentano comunque di
contrattare per dovere. Aspetto rassegnato che smetta di piovere,
sorseggiando la mia San Miguel ghiacciata; ma il cielo plumbeo in tutte
le direzioni non lascia spazio alla speranza, per cui dopo un po' mi
metto in moto e parto lo stesso. Per fortuna ho portato un poncho
impermeabile. A dire il vero la pioggia è fresca e toglie l'afa, non
dico che sia piacevole ma neanche da farne un dramma; più che altro è
molto impegnativo guidare una moto così alta e leggera sul bagnato, ma
vado con calma ed arrivo tranquillamente a Sabang, anche se sono da
strizzare. Dopo aver riconsegnato la moto, vado a casa a farmi una
doccia (calda) ed un pisolino. Mi cucino una mezza chilata di gamberi
che mi sono comprato e finisco la serata giocando a biliardo al Big
Apple Bar, pettinando un paio di idioti. That's all, folks!
Mi sveglio alle 7, come tutti i giorni ormai. I miei pigri ritmi
milanesi sono un ricordo, mi piace alzarmi quando sorge il sole e l'aria
è frizzante, anche perchè durante il tardo pomeriggio piove sempre (è
la stagione delle piogge) e le spiagge assolate sono godibili solo fino
ad una certa ora. Al porto recupero un passaggio in moto fino a Coral
Cove, una baia di cui mi hanno parlato molto bene. La delusione, quando
arrivo, è grande: la riva è un monnezzaio, l'acqua è torbida. Quattro
ragazzi filippini stanno a ciondolare sotto un chiosco, mi verrebbe
voglia di dir loro di darsi da fare e dare una pulita, che in mezza
giornata la si può sistemare. Perchè il filippino ha questo vizio, che è
anche un po' italiano: fa niente se fuori c'è il lurido e i topi che
scorrazzano, basta che le piastrelle di casa siano lucide come specchi.
Stendo il mio tappeto turco in un angolo di spiaggia meno schifoso degli
altri, anche se lo scenario è desolante; fa male al cuore vedere quanto
è bella questa spiaggia e quanto le "persone" ne abbiano fatto scempio.
Mentre giro tra gli scogli per passare il tempo, catturo un granchio
peloso con la testa delle dimensioni di un pugno di Tyson. Gli lego le
grosse chele con uno spago e gli dò un nome: Freddy. Lo stuzzico un po'
ma sembra narcotizzato dalla prigionia, per cui non infierisco e dopo un
po' lo libero. Sono amareggiato dalla sozzura, e quando il noleggiatore
di moto torna a prendermi gli dico "Ma in che cazzo di posto mi hai
portato?". Mi elenca una serie di scuse che non capisco e che
francamente mi interessano poco. A pranzo, per consolarmi, mi cucino
salsicce e patate fritte. Poi, invece della solita pennichella
pomeridiana, prendo il senitero che va ad ovest del paese, e dove
finisce mi incammino sulle rocce; camminarci con le ciabatte è
difficile, rischio fratture scomposte ogni tre passi. Ma ne vale la
pena: dopo un po' arrivo ad una spiaggia lunga una ventina di metri,
stupenda, pulita ed inaccessibile. Alle spalle mucchi di coralli portati
a riva dalla marea, che ogni tanto franano su sè stessi con lo stesso
rumore del vetro infranto. Dopo aver preso un po' di sole, mi dedico
allo snorkeling, prendendomi una rivincita su Coral Cove. Mi stupisco di
quante forme la vita possa assumere nella barriera corallina: conto sei
diversi tipi di stelle marine (alcune molto bizzarre), una ventina di
varietà di corallo e una quantità di pesci differenti. La frase del
giorno è "la felicità procede per sottrazioni successive", infatti posso
passare ore sulla spiaggia a fare niente senza annoiarmi. Ora è quasi
sera e, tanto per cambiare, piove; ma io sono già sotto il mio portico, a
guardare il mare ed a pensare che mi fermerò un altro giorno, ed una
altro ancora, e così via. E chi si muove? Ma chi m'ammazza, qui al
riparo con la mia San Miguel? "Il pleut des voix de femmes comme si
elles étaiant mortes même dans le souvenir." Stasera ho il torneo di
biliardo al Big Apple, per cui vado a prepararmi psicologicamente
(dormendo).
P.S. Ho detto a Philip: "Questo è il classico posto dove vieni per stare due giorni, e poi ti fermi per due settimane". Lui si è messo a ridere e mi ha risposto: "A me lo dici? Io son venuto per stare due settimane e son qui da due anni!"
P.S. Ho detto a Philip: "Questo è il classico posto dove vieni per stare due giorni, e poi ti fermi per due settimane". Lui si è messo a ridere e mi ha risposto: "A me lo dici? Io son venuto per stare due settimane e son qui da due anni!"
Il torneo di biliardo, ieri sera, è andato di merda, mi hanno
eliminato al secondo turno. Sarà stato anche perchè, prima di cena, sono
passato dal negozietto di Philip e ci siamo bevuti un litro a testa di
Tamburay e succo di mango. Non avendo dormito nel pomeriggio, dopo cena
(il peggior hamburger della mia vita, al Big Apple) ho avuto un
collasso di sonno. Però non me la sono sentita di abbandonare l'allegra
compagnia (Philip col team del Sea Riders), per cui li ho seguiti al
Broadway per una scarica di San Miguel e qualche altra partita a
biliardo. Sul palco il solito trio di smandrappone che esegue successi
internazionali. Un uomo, un occidentale sulla sessantina e rotti, è
diventato all'istante il mio idolo: ballava come un pazzo con un pezzo
di fi..gliuola, senza volgarità, pieno solo di gioia di vivere. Ho
pensato ai vecchi italiani, pieni solo di astio e di lamentele.
Bisognerebbe organizzare dei voli charter e paracadutarli qua. Oggi mi
sono avventurato con Philip nella mia prima lezione di sub; la prima
lezione costa 2000 pp, l'intero brevetto Padi 14000. La cosa più
difficile è stato usare le pinne, non sono abituato e mi sembrava di
essere un mongoloide. Dopo una breve intro fra valvole e decompressioni,
ci siamo allontanati dalla riva e senza neanche accorgermene siamo
arrivati a 20 metri di profondità. In apnea, al massimo sono arrivato a
4-5 metri, per cui guardare in alto e vedere le sfaccettature della
superficie così distante mi ha fatto una certa impressione. Ma ormai
avevo preso confidenza con bombola e pinne e andavo spedito come un
treno, tanto che Philip mi ha chiesto di andare più piano. Ma io ero
come un bambino e seguivo ogni pesce strano che vedevo. Dopo la lezione,
sono andato alla mia spiaggetta privata, questa volta però ben
organizzato: scarpette per gli scogli e borsa impermeabile per la roba.
Sono così riuscito a raggiungere un anfratto ancora più isolato e
incantevole di quello di ieri, un po' saltando fra gli scogli ed un po'
nuotando. I barcaioli passano e mi salutano da lontano, saluto e sorrido
loro, tutti sorridono in questo arcipelago.
Le giornate scorrono serene, senza fretta, pilipino-time. Ormai la
mia combriccola me la sono fatta, non sento la necessità di migrare
altrove, qui ho tutto quello che mi serve. Mi diverto un sacco con
Philip, che tra l'altro ogni tanto manda una sigaretta condita con
leggera erbetta locale. Oggi abbiamo noleggiato due moto e siamo andati a
White Beach, io lui Kathy e Trixie. Quanto mi diverto con ste
monocilindriche, sgaso come un tabbozzo della Barona (Do you know
Valentino Rossi? I teached him how to drive the motorbike). La spiaggia
mi sembrava più bella dell'altra volta, forse per via del cielo sereno e
dell'allegra compagnia. Abbiamo raggiunto una zona isolata e steso il
mio tappeto sotto un albero, una zingarata alla grande. Dal ristorante
italiano "La Vela" ci siamo fatti portare un piatto misto di pesce (725
pesos e faceva veramente cagare, non si salvava neanche una vongola, in
più le cameriere erano degli inquietanti ladyboy). Anche lo snorkeling
non ci ha regalato grosse soddisfazioni, ma nel complesso la giornata è
stata divertente. Al ritorno ci siamo beccati la solita pioggia serale, e
poi cenone a base di pasta (in mio onore) a casa di Philip, preparata
dalla sua ragazza Kathy. Devo dire che, nonostante i miei funesti
presagi, mi ha stupito cucinando un ottima pasta, cotta giusta e con un
sughetto misterioso ma veramente gustoso.
Il venditore filippino non è insistente come altri asiatici, ma se
volete liberarvene ci sono alcuni accorgimenti. Dirgli "No, thank you" è
solo un invito ad insistere. Provate con "Hindi salamat", cioè no
grazie in tagalog. Se questo non li fa desistere, dategli una lunga
risposta in italiano (ad esempio: "Ma se ti dico che me ne hai
fracassato tre quarti, ti allontani prima che io sia costretto a
denigrarti pubblicamente e a buttare le tue cianfrusaglie nella
sabbia?"). Questo di solito li lascia disorientati e voi potete tornare
tranquillamente alle vostre occupazioni. So che sembra brutale, ma se si
è gli unici occidentali sulla spiaggia si diventa una facile preda e
dopo un po' la pazienza finisce, uno ha anche il diritto che non gli
rompano le palle ogni tre minuti.
Le emozioni più belle, quelle che ti lasciano senza fiato, sono
quelle inaspettate. Ti lasciano disarmato, rimani lì a ridere da solo.
Ma procediamo per ordine. Mi sono svegliato presto, senza sapere cosa
fare. Sono sceso in spiaggia e ho beccato uno dei ragazzi del Sea
Riders, quello che sembra Jackie Chan abbronzato. Gli ho chiesto dove
fosse possibile comprare un po' di roba per pescare, mi ha mandato da
L.A.Hardware, una ferramenta giù in paese. Ho preso una lenza, tre
piombi ed una decina di ami, ed al mercato ho preso un paio di pesci da
tagliare come esche. Poi sono andato ai miei scogli preferito, sulla
strada per Coco Beach, non prima di essermi procurato un lungo bastone
da usare come canna ed un corallo ad L con la funzione di rudimentale
mulinello. Neanche il tempo di buttare l'esca, ed è arrivato un
barcaiolo rompipalle a dirmi che lì non c'era pesce. Certo, solo se ti
noleggio la barca mi porti nel posto giusto vero? Gli ho detto che il
pesce non c'era perchè mi stava col motore acceso a tre metri dalla
lenza, e l'ho invitato gentilmente ad andare a cagare. Infatti, appena
se n'è andato, cambio l'esca e ributto in mare la lenza, e tiro subito
su un pesce non male. Galvanizzato, son stato lì un'altra ora ma non ho
tirato su niente. Ma non mi sono demoralizzato, il mio intento era di
rilassarmi senza stare proprio con le mani in mano. Dopo un po' ho
deciso di scendere in acqua con la lenza e la maschera, ed ho preso un
pesce di dimensioni ridicole; è stato più lo sbattimento di portarlo
allo scoglio che altro, ma ho deciso di tenerlo perchè aveva dei colori
bellissimi e veniva comunque buono per la zuppa. Quando sono sceso di
nuovo in acqua, ho avuto l'incontro della giornata. Mi sembrava che ci
fosse uno scoglio che si muoveva. Mi sono avvicinato e ho visto che era
una tartaruga lunga quasi un metro, che nuotava placidamente vicino a
me. L'ho seguita in preda all'estasi, son cose che se non le vedi non
puoi capire. Nuotava lentamente, girandosi ogni tanto verso di me per
capire se potevo essere un pericolo; ma in me c'era solo amore, una
specie di ammirazione incondizionata di fronte ad una tale meraviglia
della natura. Ogni tanto si appoggiava immobile sul fondo, guardandomi e
brucando qualcosa, forse dei coralli, e poi tornava a muoversi. L'ho
seguita per un bel po', ma ha iniziato a dirigersi al largo ed avevo
paura di essere trascinato fuori dalla corrente. Tornando allo scoglio
ne ho vista un'altra più piccola, scura con delle macchie gialle. Che
belle, lanciavo bolle di gioia attraverso il boccaglio. Il bottino della
pesca è stato abbastanza magro, tre pesci, ma non importa, ne è valsa
troppo la pena. La serata? Solita sbiliardata, questa volta con Paul, un
inglese sempre alticcio che però con la stecca in mano non sbaglia un
colpo, infatti a parte una partita che ho vinto, le altre mi ha
pettinato. Sbiascica, ogni tanto devo annuire senza aver capito, ma è un
tipo alla mano e passo una piacevole serata. C'è anche Philip, ma è con
una ragazza e dopo un po' li perdo di vista.
I filippini hano una passione sfrenata per il karaoke (o, come lo
chiamano qui, videoke). I testi delle canzoni scorrono su video che non
c'entrano niente, per cui capita di dover cantare "I will always love
you" mentre sotto c'è un filmato di vale tudo in cui si massacrano di
botte. Se uscite, vi ritroverete a dover cantare anche voi, a meno di
voler passare per un noiosone. Poco importa se si è stonati, tanto il
filippino medio canta come un cane ubriaco con la prostatite. Poi non
sperate che la musica vi aiuti; ad esempio, io ho chiesto di cantare
"Wish you were here" dei Pink Floyd, e quando è partita la base mi si è
gelato il sangue nelle vene: sembrava "fra Martino campanaro" fatto con
la pianola Bontempi.
Giornata di sbattimenti, fine delle mie due settimane filippine
passate nel magnifico Mindoro. Dopo un ultimo bagno fra i coralli di
Sabang, mi imbuco per un pelo sul traghetto delle 11:30 per Batangas.
Arrivo, e con qualche difficoltà (viaggio come passeggero su una
mototaxi guidata da un pazzo) trovo un ATM (bancomat) che finalmente mi
sforna dei soldi. Ed eccomi sul bus per Manila, sdraiato come un pascià
sui posti in fondo. A Manila prima brutta sorpresa, cioè la metro è
rotta e rimango mezzora in fila sulle scale della stazione di Gil Puyol.
Quando finalmente la metro arriva, siamo pressati come bestiame, e per
motivi a me ignoti si ferma cinque minuti in ogni stazione. I filippini
sembrano accettare con rassegnazione, io bestemmio mentalmente tutti i
santi del calendario, arriviamo ad Abad Santos che sono arrivato a Santo
Stefano. Come se non bastasse, piove a secchiate. Poggiato la zaino in
ostello, riprendo la metro fino a Gil Puyol, vicino a Makati, dove
sembra esserci un po' di movida notturna. Fuori dalla stazione prendo un
triciclo (praticamente una bmx con abitacolo annesso. Chiedo al
conducente di portarmi dove c'è un po' di nightlife, e lui poverino
sotto una pioggia battente mi porta ad Adriatico Street. Sarà per il
tempaccio, ma di movida ce n'è ben poca, sembra Ascoli in un lunedì di
Febbraio. Ma non demordo, dopo due braciole di maiale mi infilo da
Bedrock; l'inizio è promettente, locale niente male abbastanza popolato,
palchetto con rock band grintosa. Ordino il solito Cuba e faccio la mia
song request: ovviamente "Wish you were here", per vedere come la
fanno. Sono come quelli che assaggiano il Big Mac in tutto il mondo per
vedere se davvero lo fanno uguale ovunque. Quando il chitarrista
imbrocca le note giuste, mi diventa quasi barzotto, penso "ci siamo!" Ma
la cantante, non capisco il motivo, lo interrompe e parte con "Dancing
Queen", una pietosa merdata anni '80. Sdegnato e deluso, chiedo il
conto; ho già le palle che girano come la ruota del Prater di Vienna, e
la cameriera completa l'opera: 369 pp per un Cuba ignobile. Gli chiedo
se è sicura, e lei dice di sì, perchè era un double rhum and coke, anche
se a me sembrava una Coca macchiata. Dopo triciclate e metropolitanate
varie, eccomi in ostello: domani è il mio compleanno ed alle 14:30 ho il
volo per Hong Kong, dove incontrerò Luca ed Ale e ci lanceremo alla
conquista dell'immensa Cina.
E' il mio compleanno, e sono nel terminal 2 dell'aeroporto di Manila
in attesa del mio volo. Ho comprato gli ultimi patetici souvenir qua,
ovviamente a prezzo triplicato. Prima ho pure sbagliato terminal, e quel
bastardo di tassinaro voleva 200 pesos per fare 3 minuti di auto;
gliene ho dati 100 con tutto il mio disprezzo. Gli ho pure chiesto se
c'era da pagare una tassa per lasciare il Paese, e lui no, vai
tranquillo: infatti ci son da pagare 750 pesos, per cui altro giro al
bancomat ecc. Al check-in mi fanno levare pur le scarpe, non sapendo a
quali mefitiche molecole vanno incontro. Alla fine mi fanno passare,
nello zaino ho un abottiglia e un paio di accendini ma non se ne
accorgono. L'aria condizionata mi sta uccidendo.
CONSIDERAZIONI FINALI
Le Filippine sono un Paese meraviglioso, fortunatamente ancora
lontano dal turismo di massa pur avendo posti che nulla hanno da
invidiare a mete più gettonate come la Thailandia. Sebbene non abbiano
lo stesso spessore culturale, vantano dei paradisi naturali
meravigliosi, splendide isole che soprattutto in bassa stagione (e la
nostra estate lo è) possono essere esplorati senza il solito
commercialista di Lodi intorno. I filippini sono cordiali e simpatici,
sono ospitali e si prodigano perchè abbiate un bel ricordo del loro
Paese. A parte alcune zone da evitare (il Mindanao, nell'estremo sud, è
teatro di violenti scontri fra gli indipendentisti e l'esercito; e
Manila, come tutte le grandi metropoli, che va affrontata con le dovute
cautele), sono generalmente sicure, soprattutto le isole sono molto
tranquille, a volte anche troppo. Ci sono più di 7000 isole da esplorare
(è il secondo arcipelago al mondo dopo l'Indonesia). La nostra estate
corrisponde alla loro stagione delle piogge, ma almeno dove sono stato
io pioveva solo nel tardo pomeriggio ed ho avuto modo di abbronzarmi e
di godere di tanto sole; anzi il Mindoro e le isole più interne sembrano
abbastanza immuni dalle piogge, almeno così mi è stato detto. Il
periodo migliore per visitarle va da marzo a giugno, ma anche a luglio
non mi sono trovato per niente male. Per cui consiglio a tutti di
andarci, vale senz'altro la pena passarci qualche settimana, magari
saltando da un'isola all'altra, anche se sinceramente nella prima in cui
sono stato mi son trovato talmente bene che da lì non mi son più mosso!
Complimenti per questo racconto, scrivi bene e lasci molto spazio all'immaginazione di chi legge (anche se qualche foto sarebbe stata gradita :p).
RispondiEliminaAnche io vorrei andare nelle filippine, e purtroppo potrò andarci solo ad agosto, speriamo di esser fortunato come te per il tempo!
ps dopo mi leggo anche gli altri viaggi, cavoli quanti ne fai in poco tempo... ma sei ricco? :)
ops che babbo, quella era la data di pubblicazione dei tuoi viaggi, non la data del viaggio :D
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